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Note di management n° 18
L'Intelligenza Emotiva applicata in azienda
Tratterò in questa Nota, che fa seguito alla n° 17 “L’Intelligenza Emotiva
nel lavoro”, di alcune considerazioni sulle teorie di Daniel Goleman
applicate in azienda.
La vera novità che troviamo nelle sue pubblicazioni (libri, articoli,
interviste, ecc.) non è certamente la constatazione che la componente
emotiva è parte determinante nei rapporti interpersonali, e quindi in tutte
le dinamiche organizzative.
Sappiamo bene, soprattutto chi è cresciuto professionalmente nel marketing,
quanto siano importanti, anzi decisive per il successo, competenze emotive
come la credibilità, che trasmette alle persone la sensazione di potersi
fidare, la spinta al miglioramento, che porta i collaboratori a prendere
iniziative e non essere semplici esecutori, la consapevolezza (sentimenti,
esigenze, interessi) degli altri (empatia), la persuasività dialettica. Il
leader, in primis, svolge il suo lavoro attraverso e grazie al lavoro di
altre persone e quindi deve essere capace di interagire emozionalmente con
loro e muoverle all’azione. Empatia significa interesse attivo per le
preoccupazioni degli altri, percezione delle esigenze di sviluppo delle
capacità e risalto delle potenzialità e delle abilità, capacità di sfruttare
la diversità come risorsa.
Fin qui niente di nuovo, dottrina e prassi in campo manageriale e formativo
operano da decenni su questa falsariga.
Dove sta allora l’originalità di Goleman, perché il successo dei suoi libri,
la risonanza dei suoi interventi, non tutto spiegabile con l’indubbia
maestria marketing del soggetto e dei suoi editori?
Certamente Goleman introduce sul mercato due significative novità, una già
nei fatti da vari anni, l’altra decisamente originale e, se confermata
dall’esperienza, potenzialmente rivoluzionaria (il termine non è affatto
esagerato).
La prima novità è la definitiva affermazione del principio che il modello di
competenze adottato nel passato non è più sufficiente per il futuro. In
particolare, ci si focalizzava troppo su skill analitiche o tecniche, cioè
sulle competenze cognitive che sono sempre necessarie ma non più sufficienti
per uno stile di leadership efficace. Una buona leadership, in tutti i
comparti organizzativi, anche i più caratterizzati sotto il profilo
specialistico, deve includere le competenze emotive. Nei programmi formativi
del passato, particolarmente di natura tecnica o amministrativa, si
consideravano poco o niente questi aspetti soft, e ciò non è più ammissibile
al giorno d’oggi.
La seconda novità è invece molto più intrigante, nientemeno che una
metodologia per individuare ed imparare a migliorare le competenze emotive,
il tutto ovviamente nella più classica tradizione anglosassone, cioè
misurabile.
Senza entrare nel merito dei contenuti della metodologia, che lascio agli
psicologi non senza manifestare un dovuto apprezzamento per il lavoro di
analisi e sistematizzazione fatto su un terreno così scivoloso, voglio
invece soffermarmi sulla formazione e misurazione delle competenze emotive.
Goleman ed altri, a riprova della validità dell’approccio, citano case
studies con nomi di prestigio nelle aree Vendite, Organizzazione, Personale.
In Pepsi Cola, uno studio svolto a livello mondiale e che ha coinvolto anche
l’Italia mostra che gli alti dirigenti che sono risultati forti in almeno
sei competenze emotive hanno superato gli obiettivi assegnati del 15-20%. Le
competenze che più spesso hanno portato al successo sono state:
l’iniziativa, intesa come spinta a realizzare i propri obiettivi e
adattabilità; l’influenza, intesa come capacità di leadership e
consapevolezza politica delle dinamiche di gruppo; l’empatia, intesa come
fiducia in se stessi e capacità di valorizzare gli altri. I dirigenti che
non sono risultati possedere queste competenze hanno dato prestazioni
inferiori in misura quasi pari al 20 per cento.
AT&T ha partecipato ad uno studio che ha mostrato, a tutti i livelli di
management, come il 91% dei top performers avessero un alto Emotional
Intelligence Quotient – EQ e solo il 26% dei low performers un alto EQ
(Bradberry, 2002).
Coca-Cola ha visto i suoi division leaders che hanno sviluppato competenze
EQ superare i loro obiettivi di oltre il 15%, mentre quelli che non hanno
sviluppato il loro EQ hanno mancato gli obiettivi con lo stesso margine
(McClelland, 1999).
La US Air Force ha ridotto il turnover nelle assunzioni dal 35% al 5% annuo
selezionando candidati con alto EQ. realizzando così un risparmio di $3
milioni/anno con un investimento di $10.000 (US Government Accountability
Office Archive).
L’ Oreal ha realizzato un incremento medio di $91.370 per venditore
selezionato con criteri EQ. Il gruppo impegnato nel programma EQ ha inoltre
mostrato un turnover inferiore del 63% rispetto al personale che non ha
partecipato (Cherniss, 2003).
Lo strumento adottato per le misurazioni è il cosiddetto 360 degree
feedback, un sistema che ha come obiettivo non il controllo, ma lo sviluppo
delle persone, il miglioramento della loro performance e partecipazione agli
obiettivi aziendali. La valutazione delle persone nelle 24 competenze
emotive descritte da Goleman viene effettuata non solo dal loro capo, ma
anche dai colleghi e dai collaboratori, i clienti interni (secondo il
classico schema della chain value) di ciascuno di noi, al fine di
individuare i punti di forza e di debolezza, averne consapevolezza e
utilizzarli come leva per il miglioramento. Attraverso quindi l’autodiagnosi
e il multisource assessment (valutazione a 360° da più punti di vista) si
riesce ad acquisire una consapevolezza emotiva, riconoscere cioè le proprie
emozioni e i loro effetti nel rapporto con gli altri. Successivamente,
attraverso una accurata autovalutazione dei limiti e dei punti di forza
emersi, si potrà acquisire una maggiore fiducia in se stessi ed ottenere
performance sempre migliori. Corollario importante, le competenze emotive si
possono apprendere e migliorare in ogni momento della vita.
La mia convinzione è che l’impatto emotivo della EQ su una organizzazione dà
di per sé dei risultati di consapevolezza e tensione al miglioramento,
almeno nel breve periodo. Di qui però a garantire misurabilità,
ripetitività, efficacia nel tempo ce ne corre, anche se sono numerosissimi i
casi sotto esame ed in via di pubblicazione.
La letteratura disponibile non consente comunque finora di dare giudizi
motivati e conclusivi sui metodi di misurazione, e quindi sui risultati
ottenuti, con parametri attendibili di facile lettura.
D’altra parte, le fonti di informazione sono fatalmente di parte (le società
di consulenza che applicano questa metodologia) ed i dati storici limitati
al breve periodo.
Quindi niente rivoluzione, per ora, ma conferma della crescente
trasversalità e universalità dell’approccio soft alla managerialità ed alla
leadership.
Roma, Ottobre 2006
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